Letteratura

Qui troverete testi dei grandi libri della letteratura e sui loro scrittori...












UGO FOSCOLO-A ZACINTO

Testo
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

Parafrasi
o non potrò mai piu’ toccare le sacre sponde dove il mio corpo da piccolo giacque; o Zante mia, che ti rispecchi nelle onde del mare greco dal quale nacque la dea vergine Venere, e rese feconde quelle isole attraverso il suo primo sorriso, motivo per cui l’ alta poesia di Omero non potè non parlare del tuo limpido cielo, e delle avventure di Ulisse per il mare governato dal fato e l’ esilio di colui, bello per la fama e per la disgrazia, che è arrivato alla fine a baciare la sua Itaca piena di pietre. Tu Zacinto non avrai altro che la poesia del tuo figlio, a noi il destino ha ordinato una sepoltura senza lacrime.

GIACOMO LEOPARDI
Giacomo Leopardi, al battesimo conte Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798Napoli, 14 giugno 1837), è stato un poeta, filosofo, scrittore, filologo e glottologo italiano. È ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché una delle principali del Romanticismo letterario; la profondità della sua riflessione sull'esistenza e sulla condizione umana - di ispirazione sensista e materialista - ne fa anche un filosofo di notevole spessore. La straordinaria qualità lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel panorama letterario e culturale europeo e internazionale, con ricadute che vanno molto oltre la sua epoca. Leopardi, intellettuale dalla vastissima cultura, inizialmente sostenitore del Classicismo, ispirato alle opere dell'antichità greco-romana (le letture e le traduzioni di Mosco, Lucrezio, Epitteto), approdò al Romanticismo dopo la scoperta dei poeti romantici europei (Byron, Shelley, Chateubriand), divenendone un esponente principale, pur non volendo mai definirsi romantico. Le sue posizioni materialiste - derivate principalmente dall'Illuminismo - si formarono invece sulla lettura di filosofi come il barone d'Holbach[1], Pietro Verri e Condillac[2], a cui egli unisce però il proprio pessimismo:
Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a Recanati, in provincia di Macerata, nelle Marche (allora appartenenti allo Stato pontificio), da una delle più nobili famiglie del paese, primo di dieci figli.
In conseguenza di alcune speculazioni azzardate fatte dal marito[4], la marchesa prese in mano un patrimonio familiare dissestato, riuscendo a rimetterlo in sesto grazie ad una rigida economia domestica.[5] I sacrifici economici e i pregiudizi nobiliari dei genitori resero infelice il giovane Giacomo che, costretto a vivere in un piccolo borgo di provincia e in uno Stato tra i più retrogradi d'Italia, rimase escluso dalle correnti di pensiero che circolavano nel resto del paese e in Europa.
Fino al termine dell'infanzia Giacomo crebbe comunque allegro, giocando volentieri con i suoi fratelli, soprattutto con Carlo e Paolina che erano più vicini a lui d'età e che amava intrattenere con racconti ricchi di fervida fantasia.
Ricevette la prima educazione come da tradizione familiare, da due precettori ecclesiastici, il gesuita don Giuseppe Torres fino al 1808 e l'abate don Sebastiano Sanchini fino al 1812, che influirono sulla sua prima formazione con metodi improntati alla scuola gesuitica. Tali metodi erano incentrati non solo sullo studio del latino, della teologia e della filosofia, ma anche su una formazione scientifica di buon livello contenutistico e metodologico.
Il ruolo avuto dai precettori non impedì comunque al giovane Leopardi di intraprendere un suo personale percorso di studi avvalendosi della biblioteca paterna molto fornita (oltre 16000 volumi) e di altre biblioteche recanatesi, come quella degli Antici, dei Roberti e probabilmente da quella di Giuseppe Antonio Vogel, esule in Italia in seguito alla Rivoluzione francese e giunto a Recanati tra il 1806 e il 1809 come membro onorario della cattedrale della cittadina. Nel 1809 il giovane Giacomo compone il sonetto intitolato La morte di Ettore che, come lui stesso scrive nell'Indice delle produzioni di me Giacomo Leopardi dall'anno 1809 in poi[7], è da considerarsi la sua prima composizione poetica. Da questi anni ha inizio la produzione di tutti quegli scritt
Cessata la formazione nel 1812 dell'abate Sanchini, il quale ritenne inutile continuare la formazione del giovane che ne sapeva ormai più di lui, Leopardi si immerse totalmente in uno studio "matto e disperatissimo"[10], della durata di sette anni, che assorbì tutte le sue energie e che recò gravi danni alla sua salute. Apprese perfettamente il latino, e, senza l'aiuto di maestri il greco e l'ebraico e, seppure in modo più sommario, altre lingue (francese, sanscrito[11], inglese) e compose poi opere di grande impegno ed erudizione. Risalgono a questi anni la Storia dell'astronomia del 1813, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi del 1815, diversi discorsi su scrittori classici, alcune traduzioni poetiche, dei versi e le tre tragedie La virtù indiana, Pompeo in Egitto e Maria Antonietta (rimasta incompiuta).
i chiamTra il 1815 e il 1816 si avverte in Leopardi un forte cambiamento frutto di una profonda crisi spirituale che lo porterà ad abbandonare l'erudizione per dedicarsi alla poesia
ati "puerili".
Nel 1815-1816 Leopardi fu colpito da alcuni seri problemi fisici, che egli attribuì almeno in parte (una presunta scoliosi) all'eccessivo studio e all'immobilità in posizioni scomode delle lunghe giornate passate nella biblioteca di Monaldo. In realtà pare che fosse affetto dal morbo di Pott (tubercolosi ossea della colonna vertebrale) che gli causò la deviazione della spina dorsale con dolori e conseguenti problemi cardiaci e respiratori, una crescita stentata (pare fosse alto 1 metro e 41 circa), problemi neurologici alle gambe e alla vista, oltre a febbri ricorrenti e stanchezza continua; nel 1816 Leopardi era convinto di essere sul punto di morire a causa di ciò.
La "teoria del piacere" è una concezione filosofica postulata da Leopardi nel corso della sua vita. La maggiore parte della teorizzazione di tale concezione è contenuta nello Zibaldone, in cui il poeta cerca di esporre in modo organico la sua visione delle passioni umane. Il lavoro di sviluppo del pensiero leopardiano in questi termini avviene dal 12 al 25 luglio 1820[17].
La "teoria del piacere" sostiene che l'uomo nella sua vita tende sempre a ricercare un piacere infinito, come soddisfazione di un desiderio illimitato.
Il 1817 fu per il Leopardi, che giunto alle soglie dei diciannove anni aveva avvertito in tutta la sua intensità il peso dei suoi mali e della condizione infelice che ne derivava, un anno decisivo che determinò nel suo animo profondi mutamenti. Consapevole ormai del suo desiderio di gloria e insofferente dell'angusto confine in cui fino a quel momento era stato costretto a vivere, sentì l'urgente desiderio di uscire, in qualche modo, dall'ambiente recanatese. Gli avvenimenti seguenti incideranno sulla sua vita e sulla sua attività intellettuale in modo determinante.
Fra il 1816 e il 1818 la posizione di Leopardi verso il Romanticismo, che stava suscitando in quegli anni forti polemiche e aveva ispirato la pubblicazione del Conciliatore, va maturando e se ne possono avvertire le tracce in numerosi passi dello Zibaldone e nei due saggi, la Lettera ai Sigg. compilatori della "Biblioteca italiana" scritta nel 1816 in risposta a quella di Madama la baronessa di Staël e il Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica, scritto in risposta alle Osservazioni di Di Breme sul Giaurro di Byron.
Nel 1825 il poeta, invitato dall'editore Antonio Fortunato Stella si recò a Milano con l'incarico di dirigere l'edizione completa delle opere di Cicerone e altre edizioni di classici latini e italiani. A Milano però egli non rimase a lungo perché il clima gli era dannoso alla salute e l'ambiente culturale, troppo polarizzato intorno al Monti, gli recava noia.
Purtroppo il periodo di benessere era finito e il poeta, colpito nuovamente dalle sofferenze e dall'aggravarsi del disturbo agli occhi, fu costretto a sciogliere il contratto con Stella e durante l'estate del '28 si recò a Firenze nella speranza di trovare un modo per poter vivere in modo indipendente. Ma le sue condizioni di salute non glielo permisero ed egli fu costretto a ritornare a Recanati dove rimase fino al 1830.
Intanto, nell'aprile del 1830, il Colletta, al quale il poeta scriveva della sua vita infelice, gli offrì, grazie ad una sottoscrizione degli "amici di Toscana",[22] l'opportunità di tornare a Firenze, dove il 27 dicembre 1831 fu eletto socio dell'Accademia della Crusca[23]. Nello stesso 1831 a Firenze curò un'edizione dei "Canti", partecipò ai convegni dei liberali fiorentini e strinse un'affettuosa amicizia col giovane esule napoletano Antonio Ranieri. Nel 1831, grazie alla fama di personalità liberale, fu eletto deputato dNel settembre del 1833, dopo aver ottenuto un modesto assegno dalla famiglia, partì per Napoli con l'amico Ranieri sperando che il clima mite di quella città potesse giovare alla sua salute. Durante gli anni trascorsi a Napoli si dedicò alla stesura dei "Pensieri" che raccolse probabilmente tra il 1831 e il 1835, e riprese i Paralipomeni della Batracomiomachia che, iniziati nel 1831, aveva interrotto. A quest'ultima opera lavorò, assistito dal Ranieri, fino agli ultimi giorni di vita.
ell'assemblea del Pubblico Consiglio
La morte del poeta è stata analizzata da studiosi di medicina già a partire dall'inizio del XX secolo. Molte sono state le ipotesi, dalla più accreditata, pericardite acuta, a quelle più fantasiose, cibo avariato. Nessuna delle tesi alternative, tuttavia, è riuscita a smentire il referto ufficiale, diffuso dall'amico, patriota e scrittore partenopeo, Antonio Ranieri: idropisia polmonare, il che è comunque verosimile, dato i suoi problemi respiratori, dovuti alla deformazione della colonna vertebrale[25].
Leopardi era morto all'età di 39 anni, in un periodo in cui il colera stava colpendo la città di Napoli. Grazie ad Antonio Ranieri, che fece interessare della questione il ministro di Polizia, le sue spoglie - questa la versione accettata - non furono gettate in una fossa comune – come le severe norme igieniche richiedevano a causa del colera che colpiva ancora la città – ma inumate nell'atrio della chiesa di San Vitale, sulla via di Pozzuoli presso Fuorigrotta di Recanati,

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